Friday, March 11, 2016

La conversione di Rutilio Grande


 
BEATIFICAZIONE DI MONSIGNOR ROMERO, 23 MAGGIO 2015
 

Dire “Rutilio Grande” e “conversione” ci fa pensare sull’impatto che l’uccisione del padre Grande ha avuto sul Beato Oscar A. Romero, cosa che il Papa Francesco chiama il grande miracolo di padre Grande. Ma dovremmo pensare della conversione che viene prima di questa—la conversione del proprio Rutilio Grande. Lo stesso Papa Francesco ci mostra la prova di tale conversione: “Lasciò il ‘centro’ per andare alla periferia.”

[Vedi anche: Il martire dimenticato di El Salvador]

Il Santo Padre parla di sapienza, e lo stesso Padre Grande ammette che il sua processo di conversione è stato completato con il suo inserimento pastorale nella sua parrocchia “periferica”: Grande dichiarato di aver vissuto “due conversioni”: la prima dopo il Vaticano II, e la seconda quando lascia il seminario dove è stato rettore e assume come parroco nella sua città natale di Aguilares. “Lasciò il ‘centro’ per andare alla periferia.” O come spiega padre Salvador Carranza, “possiamo dire semplicemente che l’entrata in squadra in Aguilares segna il passaggio del Mar Rosso del esodo o ‘ritorno in Galilea’ dei seguaci di Gesù”.
Facendo questa riflessione, nel 39 ° anniversario dell’assassinio di Padre Grande questo 12 marzo, ci chiediamo se questa morte sarebbe già vicina ad essere riconosciuta come un martirio, e se ci si poteva aspettare un annuncio in tal senso, nel contesto di questo anniversario. Fonti vicine al processo hanno confermato «Super Martyrio» che la causa procede lentamente, ma non per ragioni sottostanti, solo la burocrazia ordinaria che caratterizza questi processi. D’altra parte, «Super Martyrio» ha saputo che la documentazione dei tre miracoli attribuiti al Beato Romero annunciati dalla Chiesa salvadoregna ai primi di ottobre dello scorso anno è appena stata inoltrata al Vaticano nel mese di gennaio. Si tratta di due donne e un uomo recuperati da cancro incurabile, e una virgola. Il progresso dei due cause—Grande e Romero—è coordinatoper cercare di ottenere i due insieme. Sempre insieme, Romero e Grande!
La conversione di padre Grande ha grandi analogie con la conversione di Mons. Romero. Ad esempio, la svolta decisiva nella conversione di Romero è la sua decisione di rompere i rapporti con il governo. Chiaramente, da marzo 1977 Mons. Romero mostra completa mancanza di fiducia nella buona fede e la credibilità dello Stato salvadoregno. Lo stesso è evidente nel pensiero di Grande, e la differenza è contrassegnata dal confronto di due sermoni importanti del sacerdote.
La prima è l’Omelia nella festa della Trasfigurazione, che ha dato Grande nella cattedrale di San Salvador nel mese di agosto 1970. Invitato a decantare questo importante discorso nella vita nazionale, davanti il clero diocesano ei grandi governanti, P. Grande pone la sua fiducia nella buona fede dei padri del paese, esortando fraternamente alla conversione:
Si può essere sicuri pienamente l’On. Presidente della nostra Repubblica, qui presenti, e tutti i governi costituiti, che questa linea chiaramente evangelica, questa linea del Papa e tutti i vescovi della Chiesa universale, avrà sempre la collaborazione della Chiesa nel nostro Paese, in modo da conseguire insieme, congiuntamente, la trasfigurazione totale, completa e vera di tutti e di ciascuno degli abitanti di questa terra sacra, dove siamo nati, che amiamo, e per cui bene dobbiamo tutti impegnarci ...
La Chiesa nel suo ambito e il governo nel suo ambito, con rispetto reciproco nelle rispettive aree legittimi, devono collaborare in modo efficace, con coraggio e con urgenza al fine di promuovere “leggi giuste, oneste e corrette”, come previsto dalla “sovranità” del popolo secondo l’articolo 1 della nostra costituzione.
Sette anni più tardi, nel suo famoso “Sermone di Apopa,” il Padre Grande ci permette di vedere che ha lasciato dietro tutta ingenua convinzione che il governo può essere un partner della Chiesa nella ricerca della pace sociale:
Abbiamo detto che esiste anche nel paese, in questo paese, una falsa democrazia nominalista. Si parla molto, la bocca è piena di “democrazia”. Ma il potere del popolo è il potere di una minoranza, non il popolo! Cerchiamo di non illuderci! ...
Nessuna minoranza privilegiata nel nostro Paese ha, di manera cristiana, una ragion d’essere per se stessa, ma secondo la stragrande maggioranza che compongono il popolo salvadoregno.
Né le minoranze religiose hanno ragion di essere, né le élite coscienti del nostro cristianesimo, compresi i loro leader laici e ministri ordinati o minoranze che sostengono il potere politico, economico o sociale. Non hanno motivo di essere, ma dal punto di vista del popolo!
Profeticamente, il “Padre Tilo” mette in dubbio anche la legittimità della Chiesa quando diventa una “minoranza religiosa”, un ‘“elite del cristianesimo” e accusa la gerarchia di diventare un partner del potere oligarchico in queste circostanze. Quando prima, Padre Grande ha parlato di una collaborazione tra l’elite religiosa e d’elite di governo, ora si avverte che tale collaborazione non deve mai imporre la propria visione sulle gente, ma deve agire “secondo la stragrande maggioranza che compongono il popolo salvadoregno”.
Infatti, prima di gravitare verso la periferia, Padre Grande aveva un posto garantito in pieno centro. I suoi studi e formazione sono stati privilegiati: Venezuela, Quito e Panama, poi Spagna e Belgio. La sua ascesa nel seminario di San José de la Montaña rivolta verso l’alto: ha lavorato come insegnante, animatore pastorale e prefetto di disciplina. Avrebbe potuto diventare un grande pensatore, un manipolatore di opinioni all’interno della classe superiore, plasmare il discorso politico e il pensiero dei governanti. Ma “padre Tilo” decide di discostarsi da tale ed avvicinarsi ai poveri e emarginati. Si torna nella sua città natale.
La grandezza dell’uomo non sta andando alla grande città, non sta avendo titoli, ricchezza, denaro,” predicato Beato Romero nel primo anniversario di padre Grande a El Paisnal. “La vera grandezza ... non è di essere andato da qui ad essere più ricco in un’altra città, ma nel tornare al suo popolo, amare sua propria gente, essere più umano. Questa è la vera grandezza. Il vero sviluppo non è di avere di più, ma nell’essere di più”. (Omelia del 5 marzo 1978.)

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